Storia


Melissa Chantal Salerno

L’ora segnata dal destino

 (Roma, Ed. Nuova Cultura, 2012, pp. 423)
Un'originale ricerca di Emilio Gin
La vigilia della seconda guerra mondiale
attraverso una nuova chiave di lettura

 

L’interessante ricerca di Emilio Gin dal titolo, emblematico e significativo, L’ora segnata dal destino. Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’intervento, si incentra su una ricca documentazione riguardante gli anni dell’entrata in guerra dell’Italia, ossia 1938-40, ripercorrendone la politica internazionale. Di agevole lettura, sotto diversi aspetti originale, il meticoloso lavoro di Emilio Gin, pur intrecciando una ricca storiografia, offre una interessante ed inedita lettura di documenti militari italiani e, pertanto, può ritenersi fondata su una notevole mole di documentazione archivistica di prima mano. Esso apporta, dunque, un’attenta analisi riguardo all’atteggiamento della Francia nei confronti dell’Italia, entrando, spesso, nei dettagli delle scelte intraprese da Mussolini. Emerge dal contesto di questo lavoro, in particolare, la consapevolezza da parte dell’Italia, nel periodo immediatamente precedente all’intervento in guerra, di volere stabilire un solido assetto di pace o di apparente equilibro europeo, con l’obiettivo di rimanere equidistante da Hitler e dagli Alleati. La ricerca parte dallo studio dei Documents Diplomatiques Français (anni 1939 e 1940), che mette in rilievo il carattere ambiguo dei rapporti diplomatici di Mussolini; insieme a tali fonti, di fondamentale importanza sono anche le ricerche tratte dai fondi dell’Archivio di Stato di Roma e quelli degli Affari Esteri e dei National Archives di Londra. Un lavoro, dunque, di vario e vasto impegno di ricerca, a cui si unisce una rilevante precisione storica, il tutto amalgamato da rinnovate interpretazioni storiche e politiche sulle vicende studiate. Spicca, inoltre, nel volume la figura di Arthur Neville Chamberlain, che tentò di neutralizzare l’aggressività di Hitler e di Mussolini, praticando la politica dell'appeasement (pacificazione a prezzo di concessioni) e quella del suo ministro degli Esteri Anthony Eden, che mostrò una totale intransigenza verso i regimi dittatoriali, sia italiano che tedesco. I quattro capitoli del libro sono introdotti da una premessa essenziale, in cui l’autore ben spiega gli argomenti trattati. L’incipit di questa introduzione rimanda il lettore al preciso giorno del 10 giugno 1940, facendogli quasi “vedere” quelle finestre del balcone di Palazzo Venezia aprirsi in mezzo alla folla gremita e pronta ad ascoltare Mussolini. Era il giorno della decisione dell’entrata nel conflitto, al fianco della Germania nazista, contro Francia e Gran Bretagna. La chiave di lettura che Gin offre in questo lavoro fa intendere come la scelta da parte di Mussolini di percorrere la via delle armi fosse, da un lato, il segno di un “fatale gioco d’azzardo”, un chiaro modo di evidenziare come l’Italia potesse essere una “grande potenza mediterranea”; dall’altro, anche una forzata decisione che, in un sistema di poteri infallibili, innescato dal regime, diventava ormai inevitabile; l’idea fu certamente quella di internazionalizzare la politica italiana e di innescare un processo di fascistizzazione, a cui si univa la speranza di raggiungere subito la pace. D’altronde, l’autore sottolinea come lo stesso Renzo De Felice, pur mettendo in risalto i rapporti controversi del Duce con i suoi alleati, si soffermi sulla costante (ma vana) ricerca da parte della diplomazia mussoliniana di conquistare un peso determinante anche nel periodo cosiddetto di “non belligeranza”, fase in cui Mussolini rende il suo intervento nel conflitto come non subalterno alle direttive date da Berlino. Il primo capitolo, dal titolo I cannoni di settembre, verte sulla comparazione fra la strategia della Francia e quella dell’Inghilterra all’alba della seconda guerra mondiale. In tale contesto tematico molto interessanti risultano, innanzitutto, le considerazioni secondo cui la decisione di accogliere le richieste hitleriane da parte della politica francese sarebbe stato un ulteriore motivo di polemica e di dibattito nell’ambito delle cause dell’insorgere del secondo conflitto. Punto di svolta - come l’autore tiene a precisare - è il Congresso di Monaco. Nel 1939 Alfred Fabre-Luce, nelle pagine di Politique Étrangère, fa intendere il suo supporto al ministero Daladier, evidenziando una linea politica estera francese perfettamente razionale, che, dopo il congresso di Monaco, era vivacemente emersa. Dopo Monaco, dunque, si crearono condizioni di fermezza e intransigenza, adottate appunto da Daladier, volte a contenere la potenza tedesca e a dare una nota di cambiamento alla Francia, che prima era troppo stabile o immobile nelle proprie mosse. A tale proposito l’autore richiama le riflessioni di Robert J. Young (In Command of France. French Foreign Policy and Military Planning, 1933-1940), soffermandosi sul tentativo messo in atto da Daladier di impedire l’accrescersi della potenza tedesca, sia mediante il rispetto rigoroso del Trattato di Versailles, sia con la costante ricerca di alleanze in Europa orientale, in modo tale da poter ben equilibrare i dislivelli demografici francesi (rispetto, invece, al bilancio positivo della Germania). L’attenuarsi, però, degli impegni della Francia in Europa orientale e il fallimento del raggiungimento di un’intesa con il Reich tedesco, portarono, come si evince dall’analisi approfondita dell’autore, all’inevitabile rafforzamento dei rapporti con l’URSS e al raggiungimento, quanto prima, di intese anche con la Gran Bretagna. L’interessante excursus delineato da Emilio Gin in questo libro ripercorre, poi, il cambiamento strategico francese, che fu presto intuito dalle rappresentanze italiane. Di particolare attenzione merita lo studio condotto dall’autore riguardo alla data del 16 dicembre 1938, giorno in cui il capitano di vascello Carlo Margottini, notò come Daladier si sforzasse di rafforzare la propria politica e che ciò fosse causato proprio dalla spinta di polemiche antifrancesi sorte alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Ciò viene dettagliatamente delineato in questo volume anche in base a precise notizie reperite all’Archivio Centrale dello Stato (fonte: Ministero della Marina. Gabinetto. 1940-1950); egli descrive, pertanto, come, secondo Margottini, i circoli politici parigini avessero avvertito il senso di caos e di disorientamento nell’opinione pubblica proprio a seguito del Congresso di Monaco e che ciò avesse, appunto, provocato una chiave di netta svolta nel piano organizzativo politico francese. Il vero cambiamento stava proprio nel consolidamento dell’appoggio della Gran Bretagna, che permetteva di proiettare a vantaggio della Francia rapporti favorevoli di forza nel Mediterraneo, nel cui scenario l’Italia diventava facile preda e vittima di attacchi, in vista di un conflitto considerato ormai, purtroppo, imminente e, soprattutto, inevitabile. L’autore, inoltre, riprende le considerazioni di Robert J. Young (In Command of France), ponendo l’attenzione sul come il Capo di Stato Maggiore francese, Maurice Gamelin, avesse riflettuto sulla seria rilevanza di un attacco all’Italia stessa nel caso in cui questa e la Jugoslavia avessero mostrato una costante ostilità. Dall’analisi di Gin su quanto viene riportato nel Diario storico del Comando Supremo si evince la chiara debolezza italiana, espressa dal comando del 16 agosto del ’39 del Capo del Governo a Badoglio di mantenersi sulla difensiva, «non facendo alcun atto che possa significare nostra adesione alla iniziativa tedesca» (p. 117) piano che, però, faceva riemergere un’ulteriore fragilità militare italiana, che già al momento della firma del Patto d’acciaio aveva richiesto di evitare eventuali controversie da parte dei tedeschi a livello internazionale. Badoglio stesso, poi - precisa Gin - risponde in maniera scoraggiante, delineando il triste momento di forte difficoltà italiana da un punto di vista militare, soprattutto a causa della riforma organica delle divisioni, promossa dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito Pariani, che mirava alla riduzione dei reggimenti della fanteria da tre a due; Gin, infatti, anche in tal caso è precisissimo nel descrivere la vicenda. Nel caso specifico, infatti, egli sottolinea come la riforma, rivelatasi poi fallimentare, portò alla specifica ridefinizione delle divisioni italiane, dette poi “binarie”, riportando anche precisi riferimenti (si vedano, sul punto, F. Botti – V. Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo Dopoguerra, USSME, Roma, 1985 e D. Ferrari, Dalla divisione ternaria alla binaria, in Memorie Storiche Militari, USSME, Roma, 1983). Questo aspetto viene particolarmente descritto da Gin come causa di forte avvilimento da parte di Mussolini, condizione che lo tormentò nei duri e difficili giorni della campagna diplomatica. Tale carattere nevrotico e duro, inquieto ma, al tempo stesso, fermo si esprime nella perfetta espressione, riferita al Duce, “il più impaziente degli italiani”, che l’autore riprende dallo studio di M. Knox, Mussolini Unleashed. La citazione esprime, dunque, l’attesa snervante del Capo fascista del fatidico momento che si realizzasse, nella fase di cosiddetta non belligeranza, la concretizzazione del successo del regime fascista come grande potenza imperiale. Ancora in questo studio originale ci risulta essere lo scambio dialogico, che viene riportato nel libro, fra Bernardo Attolico e Mussolini il 20 agosto del ’39, in base alle Memorie di Giuseppe Bastianini. In esse spicca il fatto che, allorquando Attolico annuncia l’imminente entrata in guerra di Ribbentrop, Mussolini risulta alquanto spiazzato al punto tale che «arricciò le labbra, le inumidì, le distese» (p. 123). Dopodiché decise di accettare l’alleanza. D’altra parte, invece, viene presentata la figura di Attolico come tremante e insicuro, «agitato da un tremito convulso» (p.123), in quanto non riteneva affidabile l’aiuto tedesco. Da tali fatti emersero, innanzitutto, l’inferiorità militare italiana e l’atteggiamento di sconcerto negli interlocutori del Duce, il quale, per questo, crollò in una profonda rabbia e in un’intima inquietudine. Tale reazione, su cui si sofferma Gin, è particolarmente agghiacciante ed interessante da osservare, poiché denota le debolezze, non solo del Regime, ma di Mussolini stesso. Elemento di novità del libro consiste nella svalutazione del noto atteggiamento filotedesco di Mussolini, il quale comunque tendeva a far risaltare il suo ruolo di decisore ultimo. Altra nota, su cui sembra utile soffermarsi, è che, durante il periodo di non belligeranza, tra i “piani alternativi di radunata”, spicca il fatto che quello rivolto contro la Germania non fosse stato mai abolito (come risulta dallo studio di Gin dei documenti della Collection of Italian Military Records). Nonostante, però, l’opportunismo mussoliniano e un accenno in un appunto indirizzato a Ciano, nel gennaio del 1940, in cui figurava l’eventualità di una rottura con l’Asse subordinata a ulteriori variazioni in senso filosovietico, nel volume si tiene a precisare, come sostiene lo stesso Renzo De Felice, che il Duce non pensò mai ad un cambiamento di fronte contro i Tedeschi. Merito di Gin, pertanto, è proprio quello di aver trattato nei dettagli le continue riflessioni di Mussolini sulle decisioni da prendere prima di entrare in guerra, scelte che, ormai, determinavano nel Duce forte inquietudine, date le prospettive non ritenute da lui, fin dall’inizio, positive. In tale ottica si inserisce, perfettamente, il titolo del libro L’ora segnata dal destino, ripreso dal Discorso di Mussolini del 10 giugno del 1940, cioè dalla dichiarazione di guerra. Nel marzo del 1940, infatti, Mussolini già era convinto che qualunque decisione, tra cui anche la neutralità assoluta, avrebbe determinato conseguenze belliche disastrose. Altro interessante contributo di Emilio Gin è l’aver esaminato il bilancio economico italiano, che prospettava grave ed evidente precarietà nel ’39 e che non garantiva, pertanto, pronte decisioni militari, ammontando le riserve della Banca d’Italia a circa 2786,6 milioni di lire, cifra troppo scarsa per effettuare una campagna militare di riarmo. Di spiccato interesse è proprio l’analisi della scelta di Mussolini di accogliere, inizialmente, l’idea del Ministro degli Scambi e delle Valute, Felice Guarnieri (il quale riteneva fosse necessario l’incremento delle esportazioni verso i belligeranti), accettando l’exported oriented. A questo punto della riflessione, l’autore chiarisce, molto puntualmente, che Mussolini successivamente cambiò idea, decidendo di tornare all’accordo economico con la Germania, proprio a seguito dell’ultimatum all’Italia da parte della Gran Bretagna in campo economico. Davvero sentenzioso e immediato è, poi, l’incipit del III capitolo dal titolo L’albero di Bertoldo, che si riferisce ad una celebre frase di Mussolini, in cui egli - riallacciandosi al personaggio, prima benvoluto dal re e poi condannato, della storia di Giulio Cesare Croce - affermò: «Farò come Bertoldo, accettò la condanna a morte a condizione di scegliere l’albero adatto ad essere impiccato. Inutile dire che quell’albero non lo trovò mai. Io accetterò di entrare in guerra, riservandomi la scelta del momento propizio» (cfr. Valentina Sommella, Dalla non belligeranza alla resa incondizionata. Le relazioni politico-diplomatiche italo-francesi tra asse e alleati, Edizioni Aracne, Roma, 2008). L’interessante capitolo inizia con la consegna da parte di Attolico della lettera di Mussolini dell’8 gennaio 1940 a Hitler e Ribbentropp. Gin, con grande precisione, riporta in nota il riferimento del testo della missiva, consultabile nei Documenti Diplomatici Italiani, da cui si evince che Mussolini, riallacciandosi al discorso di Ciano, sottolineava gli effetti negativi e devastanti dell’intesa nazi-sovietica e riteneva che la situazione che si stava prospettando fosse quella in cui, in maniera del tutto stagnante, non sarebbero emersi vincitori e che gli USA non avrebbero mai concesso un totale tracollo della democrazia. Di grande maestria è, a tal punto, la precisa e dettagliata analisi di Gin sull’interpretazione minuziosa e recente della missiva; infatti, secondo l’autore, che approfondisce il suo studio a partire da G. L. Andrè (La politica dell’Italia dall’inizio del conflitto all’armistizio con la Francia), Mussolini, in seguito, assunse un comportamento chiaramente filotedesco, offrendo, appunto, l’apporto militare italiano, dopo aver dichiarato impossibile il raggiungimento di una decisione sul fronte francese. Dal Diario di Ciano, si evince che l’idea di comunicare con Hitler per lettera già era venuta in mente a Mussolini il 25 ottobre, in seguito al fallimento della “offensiva di pace” tedesca, contemporaneamente ad un discorso pubblico di Ciano sulla posizione italiana e alla riunione del Gran Consiglio. Successivamente, poco prima dei due eventi il 3 dicembre, Mussolini avrebbe detto al genero (che, dal canto suo, invece, puntava ad una politica antitedesca) di volere scrivere a Hitler per assicurargli l’appoggio italiano. Sempre dal Diario di Ciano l’autore riprende importantissime notizie. Tra queste spicca quella del 10 maggio 1940, giorno in cui alle cinque del mattino Mussolini, descritto con registro icastico come «calmo e sorridente», ricevette la notizia dell’attacco a Occidente; inoltre, tra le varie e vaste fonti utilizzate Gin cita la lettera di Hitler a Mussolini del 9 maggio 1940, in cui il Führer lasciava al capo fascista la piena libertà di decisione «per l’interesse del [suo] popolo» (p. 372). Merito di Gin, in questo caso e in tutto il percorso del libro, è sicuramente quello di un perfetto connubio fra historia e humanitas: da un lato, evidente è l’ottimo resoconto degli eventi storici, realizzato grazie allo studio di fonti archivistiche edite e inedite e all’analisi storiografica innovativa e di ampio respiro internazionale; dall’altro, invece, tale aspetto, prettamente storico, si amalgama benissimo con elementi di analisi introspettiva e psicologica dei personaggi e dei fatti storici trattati. Spesso, infatti, l’autore, nell’affrontare con grande capacità di riflessione, le decisioni di Mussolini, riporta anche la condizione emotiva e psicologica del capo fascista. Risultato, questo, di grande maestria e profonda originalità, che colloca L’ora segnata dal destino in un ambito metodologico che coniuga storia e analisi critica, ricerca minuziosa e panoramica internazionale.