Attualitą


Pietro Savio Di Genio

Osservazioni di politica ambientale

 

 

Esiste, nelle fasi diverse che un Paese sviluppato attraversa, un momento particolare, generalmente collocato dopo la realizzazione di uno sviluppo industriale maturo, in cui esso si interroga sul proprio aspetto; e decide poi cosa deve cambiare.

L'Italia, che ha avuto uno sviluppo tardivo rispetto ad altre potenze industriali, ha iniziato in questi anni ad interrogarsi sul proprio territorio; su come cioè si presentano nella divisione dello spazio, la città, la campagna, gli spazi ricreativi e quelli garanti della flora e della fauna.

Questo, naturalmente, a livello di massa e di istituzioni pubbliche, perché menti illuminate e benemerite quanto piccole associazioni si erano poste da tempo di fronte a questa problematica e ad essa avevano dato soluzioni razionali e civili. Ma era il tempo in cui il nostro Paese, dopo un periodo oscuro ed una guerra rovinosa, si liberavano in maniera dirompente enormi e quasi incontrollabili energie; era il tempo in cui il futuro sembrava - ed in parte lo era - un'entità da aggredire e fare propria, era il tempo dei miti: dello sviluppo economico indefinito, dell'occupazione industriale indefinita, dell'industria che seguitava a crescere e che sembrava l'unico ed inevitabile motore dello sviluppo, della capacità inarrestabile di consumo.

Ora, con il crollo dei miti, l'epoca della riflessione e del ripensamento: il territorio come "risorsa", per di più "insostituibile", per di più "limitata". Quindi da amministrare, quindi da tutelare, quindi da gestire con equità.

Tale convinzione concettuale ha posto come esigenza primaria la ricerca della chiarezza sulla "realtà territoriale" oggetto di ogni intervento : una realtà territoriale che non è più un ambito spaziale neutro entro cui immettere, sulla base di intuizioni o, peggio, di interessi particolaristici, generiche operazioni di sviluppo, ma è essa stessa portatrice di parametri, di indicatori, di variabili e di vincoli che entrano in gioco nella fase di analisi e che determinano le soluzioni progettuali.

Vi è inoltre da sottolineare come l'attenzione, frutto della nuova sensibilità e della nuova cultura, non è rivolta al territorio in quanto tale ma come elemento di una entità molto più complessa e vasta rappresentata dall'ambiente; per cui si pretende, legittimamente, che la tutela non sia rivolta solo al paesaggio ma alla flora, alla fauna, alle condizioni microclimatiche, ecc.

Tutto questo complesso di problemi, portati in luce dalla nuova sensibilità - e che come si diceva sono tipici di un determinato momento dello sviluppo di una collettività - acquista nel nostro Paese un aspetto particolare per la dicotomia che lo caratterizza: perché l'Italia non è mai stata una sola, non lo è ora dopo lo sviluppo industriale degli anni cinquanta e sessanta, probabilmente non lo sarà negli anni futuri quando troveranno assetto stabile le tensioni e le trasformazioni in atto.

Il Nord, è in buona misura, il Centro - conclusasi l'era delle grandi migrazioni e avendo raggiunto una fase matura post-industriale - presentano una realtà territoriale da considerarsi con buona approssimazione stabilizzata; per il Mezzogiorno, invece, in cui lo sviluppo è ancora all'inizio, la politica dell'ambiente e un razionale utilizzo del territorio rappresentano momenti assolutamente prioritari per l'avvio di una nuova fase di rilancio.

Per dare risposta a quale sviluppo dovrebbe avviarsi l'area meridionale è necessario esaminare cosa è successo dove lo sviluppo è già avvenuto e verificare se quella esperienza è riproducibile nel Mezzogiorno, considerate le sue caratteristiche geografiche ( abbondanza di colline e notevole sviluppo costiero) e quelle sociali.

In estrema sintesi si può dire che lo sviluppo abbia comportato per l'assetto territoriale del Nord queste conseguenze:

·                    Riduzione del terreno posto a coltura, con abbandono dei suoli poveri e razionale ristrutturazione delle notevoli estensioni di quelli ricchi; tale comportamento ha determinato un notevole incremento della produzione lorda vendibile con non rari fenomeni di eccedenza;

·                    Accelerato utilizzo del suolo per insediamenti industriali sia stabilimenti di grosse dimensioni sia per un tessuto connettivo molto sviluppato di piccole e medie unità;

·                    Intensa urbanizzazione anch'essa caratterizzata sia da grossi agglomerati sia da piccoli e medi centri urbani;

·                    Sfruttamento intenso dal punto di vista turistico delle non rilevanti - rispetto al Sud - e meno pregevoli risorse costiere con addensamenti notevoli nella stagione estiva.

Il descritto utilizzo del territorio, pur comportando alti costi di gestione ( basti pensare a quelli rilevanti dei servizi pubblici soprattutto negli insediamenti sparsi) e ancora più alti costi in termini di inquinamento in senso lato, è stato possibile e reso economicamente valido (insieme ad altri motivi che non è qui il caso di enunciare)soprattutto da due fattori: l'abbondanza, relativa, di suolo pianeggiante e quindi di facile utilizzo e la vicinanza con i grandi mercati - sia di beni di consumo che di turismo - dell'Europa continentale.

È di facile constatazione e di comune evidenza che tali fattori non sono presenti nel Mezzogiorno. Oltre alla lontananza e alle naturali difficoltà di comunicazioni, vi è infatti da sottolineare che il Sud è un'area con abbondante presenza collinare - terreno tendenzialmente di agricoltura povera e difficile - con elevato sviluppo costiero - altrettanto tradizionale tentazione speculativa per fini edilizi - con livello di consumo superiore al proprio reddito ( riscontrati mediante consumi superiori del 12 - 13% alla produzione).

In tale contesto non appare possibile riprodurre nel Mezzogiorno il modello di sviluppo sperimentato al Nord che, oltretutto, si imporrebbe a scapito dell'individualità storico-culturale del Sud, nel senso che il Mezzogiorno si porrebbe come centro periferico di una cultura estranea.

Se dalla considerazione dell'intero Mezzogiorno - in relazione al quale (sia detto per inciso) sono ovviamente da realizzare imponenti processi di industrializzazione nelle zone e per le tipologie da scegliersi con acume e preveggenza - si passa all'esame dell'area che ci occupa, le osservazioni sopra esposte per una utilizzazione del territorio diversa dalla esperienza del Nord appaiono particolarmente giustificate.

Tale area è omogeneamente caratterizzata nelle seguenti modalità:

·        La quasi totalità del territorio è collinare e montuosa. L'agricoltura si presenta sfaldata ed abbandonata: la crisi produttiva della collina, determinata da una mancanza di competitività, trascina il reddito a valori estremamente bassi. Il conseguente abbandono sostanziale di una ingente quota del territorio determina degrado progressivo con dissesti idro - geologici imponenti e costi elevati in termini sia economici che sociali;

·        Un elevato sviluppo costiero che - malgrado non marginali fenomeni di speculazione selvaggia - appare ancora in larga misura in grado di stravolgere una decisa funzione propulsiva.

La situazione descritta porta con estrema facilità ad individuare nell'agricoltura e nel turismo i settori da potenziare per innescare l'auspicato sviluppo economico, nella politica del territorio e nella predisposizione di adeguati strumenti per gli impegni si pongono alle istituzioni.

Il settore agricolo dovrebbe essere indirizzato verso colture obbligate, altamente specializzate e di qualità, ampliando per questa via l'area della vera agricoltura professionale; cooperative di produzione, di trasformazione e di commercializzazione dovrebbero essere i naturali soggetti economici di tale indirizzo in quanto in grado di perseguire dimensioni aziendali compatibili con le attuali forme di imprenditoria con la individuazione delle colture, la predisposizione di piani tecnici e gli indirizzi circa l'uso delle tecnologie adeguate.

Il turismo dovrebbe fondarsi, soprattutto, sulle ampie e ancora inesplorate possibilità delle zone interne con un evidente salto di cultura e di qualità. Le attrattive di tali zone si fondono su tre fattori fondamentali: la vicinanza della costa e la suggestione paesaggistica offerta continuamente dalle molteplici aperture panoramiche delle montagne verso il mare; la conformazione orografica del territorio e le zone forestali che vi insistono; la presenza di potenziali circuiti fondati su interessi ambientali e antropologici.

Tali attrattive sono per un turismo che si potrebbe definire di seconda fase, nel senso che esse potranno risultare appetibili in una fase logicamente e temporalmente successiva a quella della fascia costiera, se da questa influenzata, ed interessare quei soggetti turistici rivolti o alla ricerca di una alternativa al "tutto mare" o all'escursionismo. Il momento attuale della situazione della nostra zona sembra proprio quello giusto per l'avvio di una politica del tipo descritto: la fascia costiera da una parte sembra possedere già la capacità di influenzare le zone interne, dall'altra appare giunta ad un grado di utilizzo che ne sconsiglia l'ulteriore edificazione, pena il definitivo degrado.

Da ultimo, ed è forse l'aspetto più importante delle evoluzioni auspicate per i due settori, si debbono sottolineare i possibili effetti reciproci tra un'agricoltura in espansione mirata alle esigenze del turismo e quest'ultimo che si alimenta delle ulteriori disponibilità ed attrattive offerte da quella: si realizzerebbe quella saldatura tra settore primario e settore terziario che è vista nella recente pubblicistica come l'unica alternativa valida alla declinante forza propulsiva dell'industria.

Nella situazione economico - sociale che si è cercato sinteticamente di definire sia sotto l'aspetto statico che dinamico, si inserisce con la forza di un atto, che non è esagerato definire rivoluzionario, la legge 8 agosto 1985, n.431, cosiddetta Legge Galasso e s.m.i. Rivoluzionaria perché in un Paese - da sempre abituato a considerare il territorio "res nullius", risorsa da piegare indiscriminatamente ad interessi di infimo particolarismo con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti - ha introdotto: 1) una serie di vincoli su intere fasce territoriali (coste e montagne, bacini fluviali e lacustri, zone umide e boschi); 2) l'obbligo a breve scadenza per le regioni di approvare i piani paesistici per il loro territorio.

Quest'ultimo aspetto sembra quello più importante; mentre infatti i vincoli sono l'estremo tentativo di salvare quello che rimane della parte più suggestiva del nostro Paese, il secondo riguarda il futuro ed obbliga gli amministratori a considerare il territorio nel suo insieme ed a pianificarlo secondo il criterio della salvaguardia dell'ambiente. Pianificare il territorio significa innanzitutto conoscerlo: in breve tempo - ed il dubbio sulla capacità tecnica e sulla volontà politica è l'unica grossa remora all'ottimismo che si genera da quella legge - tutto il suolo nazionale dovrà essere esaminato e trascritto sulle carte insieme alla sua futura destinazione: un'impresa di grande portata, di fondamentale importanza per il futuro sviluppo territoriale di questo Paese.

Nelle nostre zone i vincoli sin dalla Legge Galasso e s.m.i., sembrano poter esplicare con particolare rilevanza i loro effetti positivi in entrambi gli aspetti: sotto l'aspetto vincolistico perché - come già detto - malgrado i guasti prodotti dalla speculazione - appare ancora consistente la parte non definitivamente deturpata e quindi suscettibile di valida tutela; sotto l'aspetto propositivo perché una ricognizione capillare del territorio è fatto storicamente unico in una zona da sempre caratterizzata da una assoluta inadeguatezza dei sistemi informativi.

La conoscenza precisa e puntuale del territorio appare un fatto fondamentale ai fini dell'attuazione degli interventi cui prima si accennava: la pianificazione delle aree extraurbane, infatti, è cosa del tutto diversa dalla regolamentazione di quelle urbane, nel senso che non sono riproducibili nella prima i limiti rigidi di densità abitativa che nella seconda sono dettati da ragioni sociali, igieniche e civili ben individuabili e quantificabili. La pianificazione delle aree extraurbane non può prescindere dalla specificità dei luoghi: solo calibrando gli interventi sulle risorse di ogni ambito locale e rispettando i valori tecnici, sociali e culturali, variabili, di ogni singolo contesto civile, sarà realizzabile una politica di gestione dei suoli in grado di incidere in modo propulsivo e dinamico sulle condizioni esistenti.

È necessario, sulla base della conoscenza capillare che si dovrebbe in tempi brevi acquisire, proporre non tanto un complesso di norme che disciplini, con indici più o meno adeguati, le diverse zone, o vincoli semplicemente le destinazioni d'uso dei fabbricati e dei suoli coltivati, quanto piuttosto uno strumento flessibile che segua l'evolversi della situazione senza abdicare alle funzioni gestionali proprie di ogni autorità politico - amministrativa. Non quindi spontaneismo e discrezionalità ma rapporto continuamente dialettico tra possibilità di edificazione e di colture, interventi di presidio e di salvaguardia da un lato, realtà locali e possibilità concreta dall'altra.

Ma per mettere a punto e, soprattutto, gestire un siffatto strumento - che comporta la integrazione e coordinazione di funzioni varie e complesse: la connessione tra sviluppo economico - sociale, difesa del suolo e problemi ambientali, compiti di controllo del territorio in materia di agricoltura e foreste, gestione dell'attività edilizia e produttiva, coordinamento del sistema dei trasporti - è indispensabile un' Ente sufficientemente vicino all'area su cui intervenire proprio per assicurare la continua aderenza dei piani alle esigenze della realtà: tale Ente sembra debba essere individuato nella Comunità Montana che, benché investita di grandi poteri, è lungi dall'essere operativa.

Le Comunità Montane dovrebbero dotarsi di uno strumento di pianificazione che preordini una progettazione a livello di piccola e media area rapportando specifiche politiche di indirizzo alle caratteristiche e ai diversi gradi di organizzazione dei sistemi ambientali. Solo a titolo di esempio e di accenno di proposta:

a)                 Aree con prevalenti aspetti naturali e scarse tracce di interventi umani: da considerare prioritarie le opere di manutenzione dei suoli, il rimboschimento, il ripristino dei manufatti propri della fisionomia ambientale;

b)                 Aree caratterizzate da fenomeni di degrado sociale ed ambientale (scarsità di servizi, crescente invecchiamento della popolazione) : proporsi il raggiungimento di obiettivi  minimi con la concessione di possibilità edificatorie solo agli imprenditori agricoli, ai coltivatori diretti ed ai proprietari che si impegnino a mettere a coltura i propri appezzamenti, proporzionare al numero dei residenti ed alla produttività del lotto agricolo i volumi e le superfici edificabili considerando positivo, per intanto, il mantenimento delle coltivazioni legate al solo autoconsumo;

c)                 Aree suscettibili di una più immediata integrazione tra settore primario e turismo: ampliare le possibilità edificatorie oltre le esigenze agricole ma sempre nel pieno rispetto delle tradizionali forme del paesaggio agrario.

Sono, come detto, degli esempi il cui scopo è soltanto quello di chiarire come l'intervento debba essere riferito a unità spaziali omogenee che costituiscano le più piccole porzioni di territorio in cui sia possibile rilevare una organizzazione e che, condizionandosi reciprocamente, determinano sistemi territoriali di livello superiore. Questi ultimi a loro volta si ampliano in sistemi ambientali che, essendo il prodotto delle relazioni tra risorse naturali e presenza umana, rappresentano il risultato di un processo storico che ha legato con ben definite modalità l'insediamento, i percorsi e le forme produttive ad una struttura fisico - naturale.

 

In queste zone, in cui l'assetto primitivo non ha ancora subito alterazioni profonde, è possibile salvare, vivificandolo ed arricchendolo di contenuti culturali ed economici adeguati alle esigenze moderne, quel rapporto fra l'uomo e la terra nel quale la salvaguardia del suolo, ora così difficilmente perseguibile per imposizione normativa, era attenta e costante perché intimamente legata al modo di vivere e di sentire della gente.