Diritto


Vito Carone*

Il mutamento del paradigma lavorativo nella società dell’informazione: un’analisi transnazionale

 

 

 

Sommario: 1) L'impatto dell'innovazione tecnologica nell'ordinamento europeo; 2) Le implicazioni dell'intelligenza artificiale sulle professioni odierne; 3) L'assetto organizzativo scaturito dal modello della gig economy; 4) Le prospettive occupazionali derivanti dalla trasformazione digitale.

 

 

1. L'impatto dell'innovazione tecnologica nell'ordinamento europeo

 

Il nuovo millennio si è caratterizzato per una serie di innovazioni che si sono sviluppate principalmente attraverso il World Wide Web, una ragnatela globale in grado di permettere all'utente finale di usufruire di una vasta gamma di contenuti e servizi in un ambiente virtuale caratterizzato dall'assenza di barriere e confini geografici[1]. Tali risorse riescono a raggiungere in tempo reale milioni di individui che, nel cosiddetto cyberspazio[2], intrattengono e costruiscono relazioni dalla natura più variegata. Del resto, anche i meccanismi e le modalità di conduzione delle attività a scopo economico e commerciale sono state profondamente intaccate dal nuovo modo di concepire il mondo[3], caratterizzato da un'agevole reperibilità di informazioni dovuta all'efficienza dei protocolli di rete, nonché dall'uso massiccio dei motori di ricerca al centro dello schema client-server.

Nel corso degli ultimi tre lustri, si sono registrati notevoli passi in avanti all'interno del comparto dell'intelligenza artificiale, i cui risultati prodotti da sistemi hardware e software non sono distinguibili dalle rispettive operazioni svolte dagli umani, sia in termini di abilità di pensiero razionale che di capacità di azione. Alcuni fattori correlati, come la tecnologia dell'Internet of Things e il Cloud, hanno trasformato persino gli oggetti a uso professionale[4], attualmente in grado di comunicare informazioni specifiche, essendo interconnessi in ogni fase dei processi operativi. Notevoli quantità di dati vengono gestiti, analizzati e immagazzinati non più nei supporti dedicati alla memorizzazione non volatile di informazioni, ma direttamente in rete, consentendo alle suddette tecnologie di fornire una prestazione oppure di ottenere risultati eccellenti e, di conseguenza, rivoluzionare le realtà produttive e sociali[5].

L'interazione tra l'AI, la robotica e quelle tecnologie che si proiettano nel futuro mutano costantemente altresì il mondo del consumo e del mercato. La definizione più esaustiva del fenomeno è stata proposta dall'International Telecommunication Union nel 2012, che riassume l'Internet of Things come "un'infrastruttura globale per la società dell'informazione che rende possibile servizi avanzati mediante l'interconnessione di oggetti, fisici e virtuali, basata su informazioni condivise e tecnologie ICT esistenti oppure in fase di sviluppo"[6]. Del resto, si può immaginare che, anche attraverso l'esperienza di vita quotidiana, i campi applicativi delle tecnologie legate a Internet siano in continua espansione[7]; ciò è dovuto alla prospettiva che mira a registrare soluzioni in grado di migliorare significativamente l'esperienza del singolo utente. Queste premesse hanno animato un consistente dibattito tra i governi che, nel mese di febbraio del 2019, ha generato un codice etico europeo incentrato sull'utilizzo e sullo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale[8]. Proposto da cinquantadue esperti nel campo giuridico, matematico, informatico e filosofico, tale elaborato tenta di invertire la tendenza in atto, sostenendo che l'uomo deve essere al centro dei meccanismi di intelligenza artificiale, la quale si deve rivelare esclusivamente al servizio della collettività per migliorare il benessere e garantire la libertà in tutte le sue sfaccettature. I principi giuridici che ne sono derivati poggiano le proprie radici sui Trattati dell'Unione Europea, sulla Carta dei Diritti e sulla legge internazionale dei Diritti Umani[9]. Infatti, nell'analizzare il documento proposto dalla Comunità Europea, si traccia una chiara prospettiva volta alla tutela di vari principi quali eguaglianza, non discriminazione, democrazia, giustizia, onore dell'individuo, dignità dell'uomo, autonomia del cittadino, prevenzione del danno, equità e correttezza. Tali linee guida hanno individuato concretamente alcuni ambiti nei quali l'esperienza umana può ancora costituire un valore insostituibile[10].

 

 

 

2. Le implicazioni dell'intelligenza artificiale sulle professioni odierne

 

Ritornando al binomio uomo-intelligenza artificiale, nel ribaltare l'attuale direzione, si rimarca il concetto di supervisione umana[11] nella misura in cui tale tecnologia non deve ridurre, limitare oppure fuorviare l'autonomia della persona stessa. L'utilizzo dei sistemi tecnologici si unisce anche al capitolo della trasparenza, della privacy e della tutela dei dati, ambito nel quale si chiarifica che nessuna deroga viene concessa in merito al dovere di utilizzo delle proprie informazioni nel massimo rispetto della normativa comunitaria europea sulla privacy per l'intero ciclo di vita del medesimo sistema, uniti all'obbligo di documentare tutti i dati sfruttati non solo per una mera tracciabilità storica, ma soprattutto al fine di comprendere a pieno i motivi di una decisione sbagliata assunta in seguito ai meccanismi azionati dall'intelligenza artificiale. Infine, emerge il discorso sulla solidità tecnica nell'ottica in cui possa garantire un apprezzabile grado di sicurezza, permettendo di sviluppare algoritmi altamente affidabili.

Analizzando tale scenario, emerge l'impatto consistente apportato dalle nuove tecnologie nel periodo della quarta rivoluzione industriale[12] e della globalizzazione. Il loro utilizzo costituisce il primo passaggio per quello che potrà accadere anche dall'evoluzione nel complesso delle lavorazioni di qualsiasi materia in funzione della propria trasformazione intrinseca. Infatti, la robotica ha messo a punto sistemi che hanno persino le sembianze umane, caratterizzati dalla presenza di sensori e microchip miniaturizzati per sostituire una serie di lavorazioni ripetitive. La formulazione teorica dell'economia digitale[13], basata per l'appunto sulla robotica, sull'automazione e sull'informatica, trascina inevitabilmente un potenziale effetto distruttivo relativo al calo dell'occupazione, legato anche alla celere obsolescenza professionale a fronte della validità degli strumenti tecnologici. L'indagine[14] appurata dal Forum economico mondiale, fondato nel 1971 per iniziativa dell'economista e accademico Klaus Schwab, ha considerato che nell'arco del prossimo lustro si assisterà alla creazione di soli due milioni di posti di lavoro, mentre ne scompariranno oltre sette. All'interno dell'Unione Europea si teme per il futuro di un occupato su due, a rischio di automazione[15] nei prossimi quindici anni; mentre l'associazione delle imprese che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza Assolombarda ha calcolato che le tecnologie affiliate al lavoro impatteranno su settecentodue mansioni, costringendo il 14,9% del totale degli occupati italiani, pari a tre milioni di individui, a perdere la propria funzione nei prossimi quindici anni[16]. Il quadro realistico delineato da esperti del settore sostiene in parte le tesi pessimistiche[17] collegate alla "fine del lavoro", all'estinzione di numerose figure professionali e al capovolgimento degli attuali modelli organizzativi. Anche il legislatore italiano ha tentato di intervenire sul fronte dello smart working (il cosiddetto lavoro agile) attraverso la Legge 81/2017[18], che tiene in considerazione la digital trasformation nella concezione più flessibile del lavoro subordinato, allo scopo di facilitare il coordinamento, incrementare i risultati produttivi aziendali, agevolare la programmazione delle fasce orarie riservate alle diversificate esigenze di vita e stabilire nuovi parametri di controllo dettati dalla mancata esigenza della presenza fisica nei locali d'impresa[19]. Partendo da quest'ultimo tema, la prestazione può essere adempiuta con l'ausilio di strumenti tecnologici anche dall'esterno dell'ufficio, ottenendo una retribuzione economica non inferiore a quella corrisposta per le rispettive mansioni svolte all'interno della sede aziendali.

 

 

3. L'assetto organizzativo scaturito dal modello della gig economy

 

L'ausilio delle connessioni alla rete globale, disponibile nei luoghi più disparati a costi irrisori oppure totalmente gratuita, ha permesso la diffusione di questo schema lavorativo agile, arricchito dalla propensione delle infrastrutture digitali di sfruttare la connettività per concentrare offerte settorializzate all'interno di piattaforme e web application. Queste ultime costituiscono lo strumento prediletto per un incontro massiccio tra domanda e offerta di lavoro specie tra i nativi digitali, decretando la diffusione del modello economico della gig economy[20]. Tale fenomeno abbandona totalmente l'idea delle prestazioni lavorative continuative[21], lasciando spazio al concetto del lavoro on demand, cioè legato esclusivamente alla singola richiesta del consumatore finale per i propri servizi, prodotti oppure competenze; sostanzialmente "un'economia dei lavoretti"[22]. La gig economy ingloba una serie di prestazioni online e offline gestite da piattaforme di intermediazione, che si avvalgono anche di algoritmi sofisticati per migliorare l'esperienza dell'utente finale. Il termine "gig" proviene dal linguaggio della musica "jazz" e sottende il concetto dell'improvvisazione[23]. La concezione di un lavoro temporaneo, dalla conseguenziale incertezza economica permanente, sembra avere già conseguito una portata sociale rimarchevole: nel Regno Unito un milione di lavoratori ha sposato questo modello, mentre negli Stati Uniti d'America si contano all'incirca dodici milioni di occupati, pari al 10% del dato complessivo degli attivi[24]. Il successo immediato è stato decretato principalmente dall'aumento esponenziale di opportunità dovute a Internet, in grado di connettere un consistente numero di utenti in ogni angolo del pianeta. La rete dimostra di agevolare l'istaurazione delle relazioni tra il beneficiario e il prestatore ridimensionando in maniera significativa i tradizionali costi collegati alle transazioni. Ruolo chiave è riservato agli algoritmi, i quali determinano il prezzo ed il posizionamento della merce nel mercato attraverso meccanismi di feedback. Il sistema delle recensioni ha come obiettivo quello di accantonare una storica problematica legata all'asimmetria informativa tra cliente e fornitore, accorciando quel gap informativo che si riflette in modo particolare sul maggiore potere contrattuale del consumatore finale. Ma l'iter di andamento delle infrastrutture online si basa sulle funzionalità multiformi, delineando attività che vanno dall'impartire ordini e controllare la prestazione del committente a luoghi virtuali nei quali il lavoratore dispone il proprio prodotto oppure servizio richiestogli. Il minimo comune denominatore sembra essere identificato, in maniera unanime, nell'accentramento del potere socio-economico in capo a coloro che gestiscono[25] le piattaforme digitali, i quali talvolta preferiscono limitare finanche il potere di negoziazione tra gli individui lasciando spazio all'istaurazione di contratti di lavoro atipici. Più nello specifico, si fa riferimento ai modelli del crowdwork[26] (letteralmente "lavoro nella folla") e del work on demand. Sostanzialmente forme di lavoro a chiamata intermediate dalle piattaforme digitali, si basano sull'utilizzazione di energie lavorative flessibili in un lasso di temo dalla durata limitata. Il lemma crowdwork è stato illustrato agli albori della rivoluzione digitale dal professore di giornalismo alla Northeastern University Jeff Howe, il quale coniò il neologismo "crowdsourcing" per indicare il modello operativo, reso possibile grazie a Internet, incentrato sullo sviluppo collettivo di un progetto (basti pensare a Wikipedia, un esempio comune ai più). In suo celebre articolo dal titolo "The rise of the Crowdsourcing", l'accademico presenta il crowdwork rinvigorendo la necessità di esternalizzazione delle imprese per economizzare sul prezzo della manodopera in un'epoca in cui risulta agevole essere connessi[27]. Da quell'articolo del 2006, pubblicato sulla rivista Wired[28], a oggi lo schema citato ha imbroccato numerosi canali che ruotano intorno al presupposto del lavoro in remoto effettuato da chiunque abbia un dispositivo connesso, fino a scomporre le mansioni delle singole imprese, affidando persino i compiti banali e ripetitivi a terzi (micro tasks). Nell'ambito del crowdworking, solitamente si sviluppano relazioni dalla struttura triangolare[29] che coinvolgono il committente (nella veste di requester oppure crowdsourcer), il prestatore (definito crowdworker) e la piattaforma gestionale che permette di intermediare tra le rispettive esigenze di mercato. Da qui si è alimentato il dibattito giuridico in merito alla più idonea classificazione sul rapporto di lavoro, interrogandosi sulla responsabilità contrattuale del committente oppure sul rapporto esclusivo che intercorre tra la società che gestisce l'applicazione digitale e il prestatore. Con l'intento di tracciare un possibile scenario condiviso nell'analizzare la relazione tra committente e prestatore, si evidenzia che il contatto che fisicamente si instaura nel mercato tradizionale non può considerarsi una consuetudine nel panorama digitale. Le parti citate potrebbero tranquillamente interfacciarsi soltanto con l'infrastruttura digitale di intermediazione, la quale ha il compito di consegnare il prodotto oppure il servizio all'utente di qualsiasi ordinamento giuridico planetario, corrispondendo l'importo economico a colui che lo ha messo a disposizione. La richiesta diretta oppure indiretta con la mediazione della piattaforma virtuale decreta la figura del freelance[30], ovverosia il lavoratore autonomo tramutato dall'esperienza inglese che opera al servizio di svariate società o organizzazioni, senza instaurare alcun tipo di rapporto contrattuale di dipendenza. Si è soliti confondere il freelance con il libero professionista in quanto anch'egli insiste sul terreno del lavoro autonomo, ma conserva attività dal carattere intellettuale di gran lunga superiore a quello materiale[31]. Come disposto dall'art. 2229 del Codice Civile, quest'ultimo si delinea in considerazione della professionalità acquisita a seguito di una formazione specifica, che gli consente di iscriversi in appositi albi ed elenchi[32]; invece, la disciplina codicistica dell'art. 2222 del Codice Civile identifica il freelance come una persona che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera oppure un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente[33]. Una definizione, questa, che avvalora l'ipotesi nella quale si qualifica, dal punto di vista giuridico, l'infrastruttura digitale come intermediaria di prestazioni effettuate da lavoratori autonomi in quanto la prestazione professionale erogata non viene diretta dal committente e neppure è possibile collocarla nell'ambito della sua organizzazione alla stregua di un vincolo di subordinazione. Il lavoratore, decidendo di accedere alla piattaforma che conserva un solido potere gestionale, organizzativo e di controllo, sottoscrive le postille e i regolamenti con le quali si determinano le condizioni di svolgimento delle mansioni lavorative e il livello di dipendenza economica[34].

 

 

4. Le prospettive occupazionali derivanti dalla trasformazione digitale.

 

L'allarme lanciato dal futurologo Thaddeus Howze[35] sull'invasività e sull'onnipotenza dei nuovi strumenti che costituiscono l'economia on demand potrebbe essere destinata ad allargarsi a molteplici sistemi sociali dominanti. Quella che lui definisce l'economia degli algoritmi, basata sulle applicazioni tecnologiche, aprirebbe le porte a un nuovo feudalesimo, nel quale una ridottissima percentuale di individui con ingenti risorse economiche varerà le regole da applicare alla maggior parte della popolazione, costretta a lavorare sodo e tendenzialmente retribuita in maniera inadeguata per i propri sforzi, al pari dei servi della gleba. Il lavoratore sarà chiamato a rispettare protocolli solo all'apparenza oggettivi ed efficienti, nonché a essere inserito in un modello economico ove la sua considerazione avrà meno valore della restante parte che costituisce l'infrastruttura. Partendo dall'esperienza delle aziende leader della nuova metodologia di fare impresa, Howze delinea un sistema nel quale il freelance sarà collocato all'interno di un'organizzazione con l'unico obiettivo di massimizzare i profitti e prevedere finanche il comportamento umano attraverso sistemi di intelligenza artificiale.

Solo quattro pilastri trovano un consenso unanime nell'aspro dibattito in corso, così delineati dal Professore Emerito dell'Università di Milano Bicocca e de La Sapienza Federico Butera[36]:

▪ La nuova idea di lavoro che già si profila sarà basata su conoscenza, responsabilità dei risultati e richiederà competenze tecniche e sociali;

▪ Un lavoro che susciti impegno e passione;

▪ Un lavoro fatto di relazioni positive tra le persone e le macchine;

▪ Un lavoro che include anche il "workplace within", ossia il posto di lavoro che è dentro le persone: storie lavorative e personali, la loro formazione, aspirazioni, potenzialità.

Affermando che le aziende digitali avranno bisogno di un numero esiguo di dipendenti dotati delle molteplici competenze trasversali appena citate, è pur vero che si sta assistendo alla creazione di interi ecosistemi professionali grazie alle nuove figure di intermediazione, ai nuovi modelli di business e alle nuove start-up associate a colossi dell'innovazione tecnologica[37]. Marco Minghetti sostiene che i "nuovi player dell'economia global (da Apple a Google, da AirB&B a Uber) che stanno rapidamente spazzando via aziende dominanti settori di business la cui natura è stata radicalmente trasformata in modi che alla vecchia classe dirigente appaiono incomprensibili.  E questo accade perché ci si ostina a descrivere ed interpretare fenomeni totalmente nuovi con un linguaggio ottocentesco, ormai inadatto a fornire chiavi di lettura adeguate"[38]. Egli aggiunge che, anche se l'impresa statunitense fondata nel 2004 da Mark Zuckerberg, la quale controlla il servizio di rete sociale Facebook, dia lavoro a poco più di trentanovemila  persone[39] (una cifra esigua se rapportata al fatturato annuale di cinquantasei miliardi di dollari), sia necessario valutare il dato complessivo alla luce del numero di individui in grado di produrre indirettamente un reddito all'interno di una comunità che annovera un miliardo e trecento milioni di utenti connessi quotidianamente, in una condizione di autonomia, benessere e creatività incompatibilmente superiore alle realtà lavorative usuali. Proprio per questo motivo, le figure professionali aventi determinate ceratteristiche costituiscono solo un piccolo spaccato dei ruoli che Internet è stato abile a plasmare. È assodato che le recenti tecnologie che sfruttano le reti sociali e le web application ingloberanno anche quelle imprese che attualmente riescono a funzionare soltanto offline, le quali saranno costrette a riformulare il proprio modello di business attraverso nuovi professionisti dell'intermediazione digitale. Alcuni indicatori confortanti in questa direzione arrivano anche dal recente rilevamento della rivista Business People, che parla di un fabbisogno urgente di profili ICT per il prossimo biennio in una forbice tra le sessantaduemila e le novantotto mila unità, da raffrontare ai 344.907 annunci pubblicati sul web per impieghi in cui erano richieste delle competenze digitali già nel 2018[40].

 

 

* Vicepresidente del Centro Studi d'Europa



[1] Rosenfeld, Louis; Morville, Peter. Architettura dell'informazione per il World Wide Web. Tecniche Nuove, 2002.

[2] Beria D'Argentine, Camilla. Proprietà intellettuale e cyberspazio. Giuffrè Editore, 2002.

[3] Cogno, Enrico; Currò, Giancarlo. Il punto su Internet. Web trend. Franco Angeli Editore, 2001.

[4] Salviotti, Gianluca; Meregalli, Severino. Digitale e manifatturiero: impatti, prospettive e stato dell'arte per le aziende italiane. Egea S.p.A., 2017.

[5] Maci, Luciana (a cura di). Maciej Kranz: "Vi presento l'IoT Generation: così cambierà il business, dalle auto al retail". Economyup, 2018.

[6] Testo tradotto dall'articolo Internet of Things Global Standards Initiative pubblicato su Itu.int.

[7] Gambelli, Rossella. Le relazioni Internet-based nei mercati industriali. Premesse strategiche e modalità di governo. Vita e Pensiero, 2005.

[8] Parlamento Europeo. Risoluzione su una politica industriale europea globale in materia di robotica e intelligenza artificiale. Bruxelles: 12 febbraio 2019.

[9] Ibidem.

[10] Parlamento Europeo. Risoluzione su una politica industriale europea globale in materia di robotica e intelligenza artificiale. Bruxelles: 12 febbraio 2019.

[11] Leonhard, Gerd. Tecnologia vs umanità: lo scontro prossimo venturo. Milano: Egea Editore, 2019.

[12] Schwab, Klaus. La quarta rivoluzione industriale. Milano: Franco Angeli Editore, 2016.

[13] Alessi, Cristina; Barbera, Marzia; Guaglianone, Luciana. Impresa, lavoro e non lavoro nell'economia digitale. Cacucci Editore, 2019.

[14] Barbieri, Francesca; Prioschi, Matteo. Nei prossimi 5 anni cambieranno 6 lavori su 10. Roma: Il Sole 24 Ore, 2019.

[15] Davis, Nicholas; Schwab, Klaus. Shaping the Future of the Fourth Industrial Revolution. Crown Publishing Group, 2018.

[16] Assolombarda. Ricerca The European House Ambrosetti: I posti di lavoro a rischio automazione in Italia. Osservatorio di Milano, 2017.

[17] Rifkin, Jeremy. La fine del lavoro: il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato. Mondadori Editore, 2014.

[18] Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. Roma: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 13 giugno 2017.

[19] Stern, Paolo. Smart working e Jobs Act autonomi: tutte le novità della Legge n. 81/2017. Maggioli Editore, 2017.

[20] Consiglio, Alessia. Diritti dei lavoratori, Gig economy: chi subisce il costo della rivoluzione digitale. Agendadigitale.eu, 2019.

[21] Staglianò, Giulio. Lavoretti; così la sharing economy ci rende tutti più poveri. Giulio Einaudi Editore, 2018.

[22] Ibidem.

[23] Iacona, Riccardo; Iotti, Lisa. Inchiesta: Lavoratori alla spina. Roma: Radio Televisione Italiana, Presa Diretta, 2018.

[24] Ibidem.

[25] Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Digitalizzazione e diritto del lavoro; Ottavo seminario annuale dello European Labour Law Network. L'Aia, 2015.

[26] Ibidem.

[27] Howe, Jeff. The Rise of Crowdsourcing. Wired.com, 2006.

[28] Ibidem.

[29] Voza, Roberto. Il lavoro reso mediante piattaforma digitali tra qualificazione e regolazione. Ediesse, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Quaderno 2/2017.

[30] Bologna, Sergio; Banfi, Dario. Vita da freelance: i lavoratori della conoscenza e il loro futuro. Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2011.

[31] Cfr. C.C. Artt. 2233 e segg.

[32] Cfr. C.C. Art. 2061.

[33] Cfr. C.C. Art. 2222.

[34] International Labour Organization. I lavoratori della gig-economy. Ilo.org, 2016.

[35] Saint, Simon (a cura di). "Economia degli Algoritmi" e il Nuovo Feudalesimo. Voci dall'estero, 2017.

[36] Butera, Federico. I nuovi mestieri e le nuove competenze come fattori chiave per lo sviluppo dell'Industria 4.0. Fondazione Irso, 2016.

[37] Xhaet, Giulio; Fedora, Ginevra. Le nuove professioni digitali: risorse, opportunità e competenze per la carriera online. Hoepli Editore, 2015.

[38] Minchetti, Marco. Social e digital disruption. MarcoMinchetti.com - Humanistic Management 4.0, 2016.

[39] Licata, Patrizia. Facebook, trimestrale oltre le attese: il datagate non pesa sul business. Corriere Comunicazioni, 2019.

[40] Finazzi, Silvia. Professioni digitali al top: 345 mila di offerte di lavoro nel 2018. Business People, 2019.