Storia Economica dell'etą contempor
Marcello Ravveduto
La lettura del testo Chi comanda a Pechino, scritto da Nunziante Mastrolia per Castelvecchi (2008), è uno utile spunto per avviare su SinTesi una riflessione sul colosso cinese e l'inquietudine dell'Occidente di fronte alla sua fame di sviluppo e modernità. Sembra avverarsi la profezia di Napoleone: "Lasciate che la Cina dorma, perché quando la Cina si sveglierà il mondo tremerà". Per noi che viviamo in Campania la questione cinese è davvero cogente poiché Napoli, come tutti sapete, è il porto di attracco delle compagnie cinesi, l'approdo europeo per l'orda di prodotti made in China che invadono il mercato dell'Unione. Se vogliamo parte del successo editoriale di Gomorra di Roberto Saviano è dovuto proprio all'inserto narrativo sull'integrazione affaristico criminale dei clan cinesi con quelli della camorra in materia di contraffazione. Una questione che non può essere sottovalutata alla luce della scoperta da parte della DDA di Roma di un patto criminale tra camorra e mafia cinese nel cuore della capitale. Un sodalizio basato sulla vendita di merce contraffatta che ha nel quartiere dell'Esquilino il punto di arrivo. La merce contraffatta parte dalla Cina e arriva al porto di Napoli. Viene stoccata nei magazzini del Napoletano e poi trasferita in alcuni capannoni a Cassino, in provincia di Frosinone. La camorra, poi, impone la vendita della merce ai negozianti dell'Esquilino, sia cinesi che italiani. Ma vediamo Chi comanda a Pechino. Mastrolia fa partire il suo viaggio per l'estremo oriente ricordando due spedizioni significative: la prima nel 1792 di Lord Macartney (Ambasciatore di re Giorgio III) e la seconda del 1971 di Henry Kissinger (Segretario di Stato di Nixon), entrambe volte all'apertura di rapporti politici e commerciali con il Moloc d'Oriente. Nell'uno e nell'altro caso ci troviamo di fronte alla necessità delle principali potenze economiche e tecnologiche del XIX e del XX secolo di conquistare il mercato più grande del mondo. Nel primo caso la Cina imperiale risponde con una chiusura culturale e commerciale che porterà alla "Guerra dell'Oppio", ovvero la conquista militare da parte dell'Inghilterra e delle altre nazioni occidentali delle zone costiere cinesi, trasformate in vere e proprie coloni sottratte al dominio imperiale. Nel secondo caso la Repubblica Popolare Cinese avvia una stagione di riforme che lentamente porterà il Paese verso ciò che l'autore chiama la politica delle "Chiuse"; cioè la Cina avanza nel campo delle libertà economiche come una nave può avanzare in un canale attraverso un sistema di chiuse, bacino dopo bacino. In entrambi i casi la risposta cinese alla richieste di apertura ha comportato l'innesto di aspetti salienti del progressismo Occidentale. La massima espressione dell'incontro tra le due culture è stato il movimento cinese dell'autorafforzzamento (diffuso tra la metà e la fine dell'Ottocento) che dichiarava la volontà di apprendere ed utilizzare la tecnica e la scienza dell'Occidente, mantenendo saldi principi e valori tradizionali, in modo da resistere alle potenze straniere. Una linea di pensiero che Matsrolia intravede ancora oggi nelle posizioni dominanti dei leaders del Partito Comunista Cinese. Ma allora, come oggi, avverte l'autore, non ci si ravvede che le tecnologie non sono neutre, anzi sono il portato materiale del progresso scientifico dell'Occidente. La preoccupazione di fondo è che l'incontro tra il comunismo riformatore il capitalismo globalizzato si possa trasformare in uno scontro tra civiltà, tra lo spirito di Ulisse, ovvero del movimento costante, dell'ansia del futuro, della conoscenza e del dominio dell'ignoto, e il tradizionalismo confuciano che salvaguarda l'autarchismo cinese nella forma della società chiusa, governata da un'autorità carismatica che regola minuziosamente i comportamenti ed avvolge gli individui in una fitta rete di simboli che non lascia spazio all'immaginazione. In sostanza, le acquisizioni dell'Occidente vengono vissute come una rivolta della scienza contro la tradizione. È l'incontro scontro tra individualismo e collettività, tra modernizzazione e consuetudine, tra movimento e immobilismo. Eppure la Cina sta cambiando, un cammino pacato dietro il quale, secondo Mastrolia, si cela l'influenza della cosiddetta Grand Strategy americana. Dalla fine della seconda guerra mondiale l'obiettivo degli Stati Uniti è stato quello di costruire una serie di istituzioni globali regolate da meccanismi che trovassero soluzioni pacifiche agli attriti economici tra stati. Le nazioni autarchiche e chiuse, che avevano contribuito alla depressione mondiale causando l'origine di una spaccatura bellica, dovevano essere piegate e ricostruite poggiando sui possenti pilastri di un sistema economico aperto e non discriminatorio. Questo è il motivo che ha portato gli USA a sostenere la ricostruzione dei paesi sconfitti: Germania, Giappone, Italia; questo è il motivo che ha spinto gli Stati Uniti a sostenere la crescita della Cina, aprendo il proprio mercato alle merci cinesi, favorendo gli investimenti interni e il trasferimento tecnologico richiesto da Pechino per alimentare la propria politica di autorafforzamento. Gli USA hanno adottato verso il gigante dell'estremo oriente una strategia che si dipana secondo due direttrici: il containment delle velleità espansionistiche e delle aspirazioni di potenza antisistema e l'engagement economico per cercare di portare la Cina nel consesso dell'ordine liberal-democratico. Per questo i governi americani hanno lavorato per far sedere i leaders comunisti della Cina nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, per questo hanno aperto il loro mercato, per questo hanno accettato che Pechino finanziasse il debito pubblico nazionale, perché ogni passo in questo senso è un avanzamento nel sistema liberal-democratico. La Cina dopo aver investito ingenti risorse nella finanza americana è la prima nazione a doversi augurare che la locomotiva statunitense continui a correre.
Un altro passaggio fondamentale è stata l'adesione della Cina al WTO, come strumento di imposizione del rispetto delle regole dettate dal diritto internazionale che sancisce una serie di vincoli e di paletti (per esempio la trasparenza e l'archiviazione delle transazioni commerciali) che costringono i cinesi a stare al gioco dell'ordine economico occidentale.
Mastrolia dimostra una conoscenza approfondita della storia contemporanea cinese, perché ricostruisce gli ultimi sessant'anni della Repubblica Popolare con dovizia di particolari raccontando i diversi sviluppi politici ed economici del paese e le varie fazioni che si sono composte e scomposte all'interno del Partito Comunista Cinese. Dall'assunzione del potere di Mao (quasi una riedizione delle gemeinshaft imperiale) alla rivoluzione culturale, dall'allontanamento alla riabilitazione di Deng, fino ai giorni nostri, teatro di uno scontro tra le corrente dei capitalisti di Shanghai e le forze moderatamente riformiste della burocrazia di partito. Dopo una fase di sviluppo impetuoso, avvenuta all'interno delle 14 Zone Economiche Speciali, dove dalla metà degli anni Ottanta sussistono agevolazioni finanziarie, fiscali e logistiche atte a favorire gli investimenti delle multinazionali straniere, la nuova guardia del partito, per evitare che le sfuggisse di mano il controllo dello Stato, è intervenuta per ridurre il potere dei capitalisti cinesi (anche con mezzi giudiziari coercitivi), ed avviare una fase di riconquista del consenso popolare scegliendo il tema della distribuzione della ricchezza ed attuando primitive manovre di carattere sociale. Sembra, scrive l'autore, essere riemersa la teoria continuamente sottesa dell'autorafforzamento, secondo cui è giusto utilizzare il portato della scienza e della tecnologia occidentale per rafforzare il nazionalismo cinese. Un esempio concreto è l'organizzazione dei giochi olimpici vissuti come strumento per mostrare al mondo la nuova potenza cinese e la sua capacità di attrarre gli interessi economici dell'intero subcontinente orientale attraverso nuovi rapporti commerciali che coinvolgono l'Australia, l'India e la penisola coreana. Certo l'innesto di semi della cultura occidentale e la crescita economica spingono, con grande timore da parte della burocrazia di partito, verso la creazione di una classe media che ha bisogno di maggiore libertà individuale e regole certe per poter colmare la lacuna principale del processo di crescita, ovvero il ritardo estremo in materia di diritti civili e sociali. Basta vedere come ha reagito il PCC di fronte alla massa di cittadini occidentali che si riverseranno a Pechino per i giochi olimpici: niente striscioni e bandiere per evitare di dover subire attacchi sui suoi nervi scoperti (Tibet, rivolte rurali, coercizione demografica, pena di morte, ecc...). In conclusione, l'autore racconta l'incapacità dell'attuale dirigenza cinese a confrontarsi con il mondo globalizzato, un aspetto paradossale se si pensa che l'immagine della Cina nel mondo sembra essere proprio l'emblema della globalizzazione dei mercati. Tra aperture tattiche e arretramenti strategici la Cina cerca di portare avanti il suo processo di peaceful development che ha come obiettivo l'autosufficienza del mercato interno. Solo quando la Cina potrà contare sul potere di acquisto di una classe media diffusa sarà svincolata dai legami internazionali a cui è sottoposta dalla necessità di tenere alte le sue esportazioni.
I leaders del PCC stanno tentando di mantenere una linea mediana: evitare la democratizzazione del paese con la ricetta di un populismo compassionevole verso gli esclusi del boom economico, facendo leva sul nazionalismo di stampo confuciano, ovvero della superiorità della cultura, dei valori e delle tradizioni cinesi rispetto a quelle dell'Occidente. Per questo se le nazioni occidentali continueranno a vivere la Cina e la sua penetrazione commerciale come una minaccia, chiedendo a gran voce l'innalzamento di barriere protezionistiche (basta leggere ciò che ha scritto Tremonti in merito) si rischia un recessione globale verticale.