Attualitą
Pier Paolo Panico
•1. Chi è Borat Sagdiyev.
Borat Sagdiyev, personaggio interpretato dal versatile mattatore Sacha Baron Cohen, è, come è noto, l'inviato di una televisione del Kazakistan, originariamente nel Regno Unito, successivamente negli States. In questa veste egli è il protagonista principale sia nella serie americana del programma Da Alì G in da USA che nel film Borat. Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan[1]. Il suo viaggio, dunque, ha l'obiettivo di analizzare la cultura e le tradizioni nord americane (quindi occidentali), per comprenderle a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, così come recita il titolo del film nella versione italiana. Infatti, il nostro reporter è partito per gli Stati Uniti proprio su richiesta delle autorità del suo Paese che gli hanno commissionato il documentario.
Cohen, istrionico comico inglese dalle chiare origini ebraiche, mette sulla scena un personaggio non British, come già faceva nello show di "Channel 4", e per di più non occidentale, ma soprattutto visto con gli occhi del pubblico di riferimento del film, e quindi espressione di tutti gli stereotipi di quest'ultimo. La scrittura del personaggio cavalca i pregiudizi più estremi per mostrarli con tutto l'ardore e la spontanea ingenuità, quasi propria di un bambino piuttosto che di un adulto, e per di più di un giornalista. Tutto di Borat è fuori luogo, dal suo gesticolare - caratteristica sicuramente non british e forse nemmeno americana - al suo parlare. Le sue parole sono sempre accompagnate dal movimento delle braccia. Abitudine, che caratterizza anche molto noi italiani, in particolar modo i meridionali, ma che risulta essere quantomeno strana per i comportamenti in pubblico delle popolazioni anglosassoni, se non addirittura imbarazzante poiché interpretabile quasi come un'invasione degli spazi interpersonali.
•2. Il genere cinematografico di Borat
Il genere a cui appartiene Borat è il mockumentary[2], che deriva dalla fusione delle parole inglesi mock (deridere) e documentary (documentario), è un falso documentario, sia in ambito cinematografico che televisivo. Un mockumentary si presenta come un documentario, ovvero per taglio e stile è confezionato come se riprendesse aspetti della realtà, ma è in effetti un prodotto di fiction[3]. È un genere ampiamente sfruttato dagli autori di parodie e satira: così fa Sacha Baron Cohen. Certamente uno dei più importanti esempi del genere è Zelig di Woody Allen. La grande differenza del film di Allen con il documentario del reporter Kazako è costituita, in realtà, dalla modalità di scrittura e di ripresa della fiction cinematografica. Zelig viene scritto e girato attraverso una recitazione a 360 gradi: ogni attore è pienamente consapevole del suo ruolo e delle sue battute, così come lo spettatore sa che quella è finzione ritrovando in effetti schemi già noti, incontrati anche in film che certamente non avevano intento satirico. Si pensi, come illustre esempio, all'inizio di Quarto potere di Orson Wells in cui con lo stile di un cinegiornale dell'epoca viene ricostruita la vita del magnate della comunicazione Kane. In Borat tutta la ripresa del falso documentario avviene con l'inconsapevole recitazione dei vari partner, eccetto Azamat Bagatov, ovvero l'attore Ken Davitian e forse (perché la recitazione sembra abbastanza realistica, purtroppo per l'ex protagonista di Baywatch) Pamela Anderson nella parte di se stessa.
•3. La rappresentazione dell'altro tra ingenuità e stereotipo
Nel falso documentario, girato da Borat, la forza, narrativa, comunicativa e comica, nasce dal fatto che il reporter kazako è straniero, ingenuo e soprattutto "televisivo", poiché rappresenta la tv straniera. Il montaggio, strumento di narrazione nel cinema di pari importanza se non addirittura superiore alle stesse immagini in movimento, mostra come Borat puntualmente faccia l'opposto del giusto, ovvero di ciò che socialmente ci si attende in determinate situazioni. In un certo senso agisce con una certa forzata ingenuità[4]. La tecnica di montaggio parallelo, già ampiamente usata nelle versioni televisive dei suoi incontri/scontri con la cultura occidentale, nel film viene sapientemente usata durante la cena alla Magnolia Mansion, società gastronomica nel sud degli Stati Uniti: è evidente sin dalle prime battute in cui Borat, nel preparasi alla cena, chiede se sia educato salutarsi al momento delle presentazioni. Cosa in genere del tutto ovvia, ma non quando il modo di salutarsi o di presentarsi è totalmente lontano dai costumi locali, proprio come dimostra Borat: bacia gli uomini due volte sulle guance ed una sulle labbra, mentre stringe solamente le mani alle signore. Con questo tipo di montaggio Baron Cohen ha il chiaro intento comico di mostrare come i modi di fare e le parole del kazako vadano sistematicamente nella direzione opposta a ciò che è socialmente appropriato in determinati contesti. Dopo le presentazioni il reporter cerca, inoltre, di avere una conversazione con chi siede a capotavola, abbastanza lontano dal suo posto, cosa che gli era stata sconsigliata, in quanto ad un tavolo di grandi dimensioni bisogna evitare conversazioni ad una distanza troppo grande per non alzare eccessivamente la voce.
Sacha Baron Cohen entra con i suoi personaggi in confronto con schemi comportamentali molto rigidi, come quelli inglesi di stampo tradizionale o con altri che all'apparenza sembrano più flessibili, ma che al contrario, come qualsiasi schema di comportamento socialmente diffuso, risultano comunque essere precisi e ben delineati. Come, appunto, le convenzioni che si possono riscontrare durante una cena in una moderna casa borghese americana, per non parlare poi degli schemi condivisi nel corso di una cena della Magnolia Mansion, che può essere considerata un simbolo "dell'occidentalità moderna", più arretrata e conservatrice. L'inviato Kazako in questi contesti con i suoi comportamenti, al di là di qualsiasi possibile previsione (se non forse facendo uso di tutto il pregiudizio con il quale inevitabilmente siamo stati a contatto nella vita), travolge tutti senza urtarli o ferirli proprio perché riesce, attraverso la ingenuità, a renderli credibili. I suoi servizi diventano così come delle candid camera[5], che cavalcano diversi stereotipi, ad incominciare dall'accento e dalla "rozzezza", che popolazioni lontane evocano, sia nell'immaginario di persone più che comuni che di personaggi più estremi e da cui, forse, è quasi lecito aspettarsi pregiudizi di qualunque tipo.
Chiunque incontra Borat con lui si apre e, in un certo senso, mostra il suo pensiero senza problemi in quanto egli entra a contatto con le persone tramite le sue interviste per la tv kazaka e soprattutto grazie al fatto di essere straniero. Egli è, quindi, contemporaneamente uno sconosciuto, un po' come un compagno di viaggio in treno che non si rincontrerà mai più, ma anche uno di cui si conosce bene l'origine e il comportamento. Il pregiudizio culturale, che le buone maniere consigliano di mascherare, incontrando Borat affiora. L'idea di un occidente, in particolare europeo, che forse inconsapevolmente, anche tra il più moderno ceto medio, conserva sotto pelle pregiudizi etnici, può sembrare eccessivo. In realtà, il richiamo, che talvolta si è fatto in Italia, alla "Repubblica delle banane" di stampo sudamericano, per definire la deriva populista dell'Italia di Silvio Berlusconi, presuppone l'idea che in quella parte del mondo vi sia un'umanità culturalmente a noi inferiore, certamente meno razionale. Chissà come i brasiliani, che attualmente vivono una stagione di matura e avanzata democrazia, potrebbero definire certi regimi del nostro continente. Repubbliche delle antenne?
•4. Locale versus Globale
Il lavoro di Borat intende mostrare come i modi di pensare, rigidi ed etnocentrici, siano ridicoli in un contesto globale, messi a confronto con chi non vede il mondo con gli stessi occhi. In un certo senso se il Dracula di Bram Stoker diretto da Francis Ford Coppola, rappresenta l'uomo settecentesco che cerca di sopravvivere alla modernità[6], Borat risulta essere il locale che lotta e cerca di sopravvivere al globale. Ma, a differenza del principe dei vampiri egli ha anche il chiaro intento di mostrare come questo processo di globalizzazione sia in effetti più sulla carta, nel linguaggio comune, che nell'effettivo sentire degli uomini.
Il fatto di essere straniero, oltre ai motivi già citati, è pretesto e scusa di continui giochi linguistici. Il fatto d'essere straniero e per di più orientale, poiché il suo paese d'origine ha fatto parte dell'ex-Unione Sovietica, in un certo qual modo "autorizza" i suoi interlocutori a pensare che i suoi comportamenti siano inevitabilmente barbari, non civilizzati. Se vogliamo è la stessa idea che mostrava di avere Totò nei suoi film nei confronti dei cosiddetti cafoni. Basti pensare allo sfortunato Pietro De Vico che in Tototruffa '62 si ritrova a contare i piccioni a piazza San Marco a Venezia, non parla un perfetto italiano, non è persino in grado di rendersi conto che non potrà mai esistere un lavoro come quello di "contatore di piccioni"[7]. Ė in effetti l'incarnazione del modo di dire napoletano "scende dalla montagna". Ecco, Borat rappresenta "colui che scende alla montagna", una montagna vistosatamene non occidentale, quindi non civilizzata. Volendo essere più precisi, si potrebbe dire che ogni singolo paese occidentale ritiene, in una visione fortemente etnocentrica, che i propri usi e costumi siano gli unici possibili, se non gli unici "giusti". Pertanto i comportamenti di noi italiani agli occhi di un americano possono risultare quantomeno stravaganti; non diversamente gli italiani trovano ridicoli certi atteggiamenti dei texani.
•5. La candid camera come strumento di analisi sociale
Ironicamente trasgressivo, ma in realtà ideato proprio per contribuire alla miglior conoscenza del paese, della vita nascosta e inespressa dei suoi abitanti, dei comportamenti banali e delle abitudini indotte, Specchio segreto di Nanni Loy vuol cogliere le reazioni più immediate di persone comuni attraverso una telecamera invisibile o camuffata [...] Ancora una volta una intenzione educativa e, al tempo stesso spettacolare, che riesce a condensare in un'ora di programma, collocato nella fascia di prima serata del nazionale, la cosiddetta "ribalta accesa", tutti i generi televisivi[8].
Forse sociologicamente e metodologicamente, non sarà stato il campione perfetto, ma di certo tutte queste situazioni descritte, avevano sì un carattere grottesco, ma andavano a toccare corde, stati d'animo e sensibilità che forse nemmeno un'intervista ermeneutica personale potrebbe scovare. Le reazioni che la telecamera andava a registrare provenivano da provocazioni mai banali o di puro intrattenimento. Al genere del puro divertimento appartengono, invece, gli attuali programmi di Candid Camera. Incollare una lattina al marciapiede sperando che qualcuno le dia un calcio procurandosi del male fisico, non è un'invasione dello spazio personale come poteva esserlo la famosa zuppetta, non stuzzica l'orgoglio come l'offerta di un'elemosina non richiesta, non mostra, con la "scusa" dell'intrattenimento, una profonda riflessione sul significato del lavoro di fronte ad una vita e ad un mondo tutto da scoprire come accadeva nella candid dinanzi alla fabbrica. Tutti gli artifici messi su da Specchio Segreto, anche se, allo sguardo dei più (vale a dire lo spettatore di allora, ma forse anche quello moderno) non in maniera del tutto evidente, dice tuttavia molto di più di quello che riescono a comunicare specifici studi o ricerche sociologiche e persino antropologiche.
•6. Le Iene e lo svelamento del meccanismo d'indagine sociale
•7. Real based program ed il Panopticon di Jeremy Bentham
Sicuramente il macrogenere che più di tutti salta all'occhio in questo periodo a cavallo tra i due secoli è il cosiddetto reality show. Lo stesso nome rimanda, come è noto, a due radici di base: quella della realtà e quella dello spettacolo.
Se la parola ‘spettacolo' la si può, senza nemmeno degli studi approfonditi, associare al contenuto televisivo sin dalle sue origini, ciò che già nella paleotelevisione non era prettamente pedagogico lo si poteva ascrivere all'intrattenimento e quindi allo spettacolo. La parola ‘realtà', al contrario, ad uno spettatore poco informato, dalla memoria breve o più semplicemente ancora oggi ragazzino, potrebbe sembrare un'associazione del tutto nuova e da ascrivere con pieno merito agl'ideatori del Grande Fratello. Idea tanto ingenua quanto inesatta, infatti, la trasmissione dell'olandese Endemol non è altro che la punta di un iceberg e capostipite di un particolare tipo di trasmissioni real based program (programmi che cercano il coinvolgimento del pubblico attraverso elementi di realtà), con base di realtà e con telecamere che, come nel romanzo di Orwel 1984, riprendono e controllano tutto 24 ore su 24[15].
Sin dal finire degli anni Ottanta, programmi che pretendevano di "raccontare la realtà attraverso la realtà" erano già ampiamente diffusi sia fuori che dentro il nostro paese. Si pensi a programmi che ciclicamente sono riproposti come Real Tv, ed anche ad una parola, tanto di moda allora, come Tv Verità, utilizzata per programmi di vario tipo che non avevano la spettacolarizzazione come primo obbiettivo. Esemplare Mixer su "RAI 2" di Giovanni Minoli[16], forse il primo esempio italiano d'infotainment, oppure trasmissioni della televisione di servizio come Chi lo ha visto? o Mi manda Lubrano. Tutti esempi in cui il coinvolgimento del pubblico è palesemente basato su elementi di realtà, ma la cui stessa struttura narrativa o semplicemente la mancanza di un televoto potrebbero farne risultare difficile la collocazione tra i Reality Show. Ma non è così. Si considerino, infatti, alcuni aspetti che qui di seguito si indicheranno.
La televisione, così come avvenne per il cinema, non è nata immediatamente come macchina produttrice di sogni, di immaginario, ma come registratore e specchio della realtà. Il primo filmato dei Lumiere fu l'uscita dalla fabbrica dei loro operai. Il primo volto ad essere trasmesso via etere in Italia fu quello di Mike Buongiorno che alle 14.30 del 3 gennaio 1954 andò in onda con Arrivi e partenze, in cui intervistava gente che all'aeroporto tornava da un viaggio o stava per iniziarlo.
Sembra quindi abbastanza evidente che l'utilizzo di elementi di realtà sia intrinseco nella natura del mezzo stesso.
Ma se, quindi, nella natura del mezzo televisivo vi è quasi l'esigenza di raccontare la realtà, come si è arrivati alla realizzazione di una trasmissione come il Grande Fratello che non è altro che la realizzazione, in versione mediatica, del Panopticon di Jeremy Bentham[17], carcere che, data la sua architettura, permetteva la visione di tutta la popolazione carceraria tramite l'impiego di un solo uomo?
Se forse, al tempo stesso, assieme al primo spettatore televisivo è nata la voglia, quasi l'esigenza, di voler far parte del mezzo, partecipando attivamente, facendosi racchiudere dalla sua cornice, è pur vero che il mezzo non si è subito predisposto a ciò. A parte Arrivi e partenze, negli anni Cinquanta l'uomo qualunque, quello privo di qualità, non aveva molte possibilità di ritagliarsi un suo spazio nella nascente televisione. Nel '54, inoltre, non era certamente l'italiano medio a viaggiare in aereo. Inoltre, si pensi a come sono cambiate le modalità dei quiz show: in Lascia o raddoppia i concorrenti erano dei veri e propri esperti, con conoscenze al di là della media, oggi in Chi vuol esser milionario? il protagonista è una persona qualunque, media, che generalmente non possiede particolari saperi.
La televisione, in effetti, è cambiata. Il pubblico è cambiato, si è smaliziato. In un paese come il nostro che, come ha sottolineato Tullio De Mauro, si è alfabetizzato alla lingua nazionale attraverso il tubo catodico[18], la televisione, nel mostrarci il reale ci ha sempre lasciato un amaro in bocca, come la sottile consapevolezza che tutto ciò fosse "televisivo", ovvero "mediato". Cosa estremamente vera per la candid camera, uno dei primi metodi di registrazione del reale, arrivata in Italia, come ho già detto, grazie a Nanni Loy sin dagli anni Sessanta. Infatti, la tecnica della candid camera, può essere considerata la messa in atto di una provocazione con telecamere nascoste, provocazione che forse già nella sua stessa natura di Deus ex machina, può risultare all'occhio del pubblico una sorta di sceneggiatura ben visibile che programma le azioni-reazioni.
E forse adesso entriamo in un paradosso: Paolo Taggi, in merito al Grande Fratello, parla di "sceneggiatura invisibile, di adattamento televisivo della realtà"[19], eppure, se parliamo di adattamento e di sceneggiatura invisibile, ma non assente, non intendiamo esattamente l'opposto di ciò a cui il pubblico vuole credere?
Nel 2000, durante la prima edizione del GF, Striscia la notizia, autoproclamatasi portatrice sana di verità (aggiungerei io, televisiva) cercava di dimostrare, attraverso delle ombre sospette riflesse da uno specchio, che vi erano "estranei" alla casa che giravano per le sue stanze ma soprattutto smentiva la tanto enfatizzata "normalità" dei concorrenti, in quanto per buona parte essi erano già dentro al mondo dello spettacolo.
Gente comune o mezzi figuranti una cosa sola è certa: tutte le storie della tv di oggi vengono dal casting. Scegliere attraverso interviste un concorrente o un altro è scrivere per l'appunto una sceneggiatura, significa cercare di tracciare delle linee su possibili elementi di conflitto o d'incontro, quindi motivi d'interesse e di identificazione da parte del pubblico. Osserva infatti Paolo Taggi:
mentre sceglie i personaggi selezionati, il reality show li crea; mentre li descrive, li cambia [...] la tv che ha prodotto spettatori ha creato una figura incredula e inesplorabile: lo spettatore di se stesso, che in soggettiva impossibile mentre sta in scena esce dal suo corpo e dal suo sguardo, per vedersi e ammirarsi idealmente compiaciuto dal divano di casa[20].
Bernd Guggenberger ipotizza in Essere o essere in che la televisione ci ha indotto a dimenticare le piccole differenze tra vita e immaginazione, preferendo la seconda: "persino nei casi in cui la televisione risveglia la voglia di realtà, indirizza la realtà, rielabora la nostra fantasia"[21]. Se tutto ciò risulta vero, sarà anche vero allora che il reality non è solo una conseguenza, ma anche una risposta ad un fenomeno del quale la tv è insieme causa ed effetto. È come se offrisse un vero e proprio surplus di realtà, poiché la televisione occupa una parte sempre più ampia del nostro tempo.
Il reality show racconta, riproduce, semplifica e simula la realtà, ciò che Taggi chiama realicità[22].
La televisione del Grande Fratello non fa altro che costruire, quasi in maniera seriale e standardizzata attimi all'apparenza irripetibili. Catturati solamente perché sono costantemente (24/24h) ripresi dalle telecamere. In effetti, il reality show, abituandoci a guardare la tv al di fuori della sua cornice, ci spinge a reagire alla vita stessa come se tutto ciò che ci possa capitare abbia un corrispettivo, una spiegazione all'interno del programma, non facendo altro che formattizzare le nostre vite.
•8. Borat: vecchi media nuovi contenuti
Nel quadro che si è delineato, ritorno, a questo punto, sul personaggio di Borat, riprendendo le considerazioni con cui ho aperto queste note. Il reporter kazako, anche se nato per la televisione, deve la sua popolarità senza dubbio alla sua versione cinematografica. Inoltre va sottolineato che il genere documentario, soprattutto con le produzioni di Micheal Moore, negli ultimi tempi sta avendo un notevole successo di pubblico. Fahrenheit 9/11 di Moore, per l'appunto, e La marcia dei pinguini di Luc Jacquet hanno avuto un discreto successo ai botteghini[23], ma il caso di Borat è diverso.
In primo luogo, questo film non costituisce, come ho già sottolineato, un documentario in senso stretto: è un mockumentary che cerca il suo appeal nel giocare sulla sottile illusione che "tutto ciò che mostra possa essere vero". Si ricordi il caso di The Blair Witch Project che sul finire del secolo scorso ottenne un notevole successo anche grazie ad una comunicazione che giocava sulla presunta assoluta veridicità delle immagini e degli eventi registrati[24]. L'appeal di Borat viene dalle stesse motivazioni che hanno portato alla ribalta il reality show. La voglia di realtà di cui sono pregne le ultime produzioni televisive ha un naturale sfogo cinematografico proprio in lui, nell'esotico reporter kazako. I trailer del film recitavano, infatti, orgogliosi: "Gente vera! Attori del tutto involontari". Il tutto condito, ovviamente, con i giudizi positivi della critica e con una forte comicità, assolutamente non politically correct. Va da sé che il linguaggio surreale, le scene grottesche, rendono ancora più comiche le situazioni a cui si attribuisce il "marchio della realtà".
Da un lato, dunque, durante questo periodo di splendore crepuscolare[25] della televisione, con l'utilizzo di una tecnica di ripresa paritetica a quella della candid camera e rispondendo ad esigenze simili a quelle che portano alla ribalta, il macrogenere dei real based program, potrebbe apparire che con Borat si sovverta l'enunciato mcluhiano nuovi media vecchi contenuti[26] in vecchi media nuovi contenuti. Dall'altro lato, invece, solo tenendo presente la storia del cinematografo e della televisione si arriva a capire come l'esigenza di rappresentare la realtà sia endemica dei due medium e non esclusivamente tipica di questo tempo. Non è escluso, anzi è facilmente ipotizzabile che si troveranno, nel prossimo futuro, contenuti di questo tipo anche in mezzi post televisivi quali Youtube.
[2] Cfr. Charles Cassady, Videohound's Reality Check: Documentaries, Mockumentaries and Related Films, Visible Ink Press, Canton, Oiho (USA) 2006. Inoltre per una breve storia del genere si veda Letizia Muratori e Cristina Piccino, Guida al mockumentary, Enaudi Stile libero, Torino 2007.
[3] Giorgio Grignaffini, I generi televisivi, Carocci, Roma 2004, pag. 55; Cfr. anche Milly Buonanno, Le formule del racconto televisivo, Sansoni, Milano 2002.
[4] Con l'espressione forzata ingenuità intendo riferirmi a tutti quegli atteggiamenti, domande e modi di fare eccessivamente ingenui, che nelle trasmissioni televisive quasi rasentano volutamente l'idiozia e la demenza.
[5] In merito all'utilizzo della candid camera si veda Paolo Taggi, Un programma di... Scrivere per la televisione, Pratiche Editrice, Milano 1997.
[6] Sergio Brancato, La città delle luci, Carocci, Roma 2003, pag. 25
[7] Sul personaggio Totò, si veda almeno Gofredo Fofi (a cura di), Totò : un profilo critico-biografico: gag, articoli, foto, poesie e canzoni : testimonianze di registi e critici sul più grande comico italiano, La nuova sinistra, Roma 1972; Franca Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), Totò : l'uomo e la maschera, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2000.
[8] Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Marsilio,Venezia 2005 pag. 354, 355.
[9] Il format originale è nato da un'idea di Mario Pergolini e Diego Guebel, per "Canal 13" della televisione argentina nel '98. Il format originale è nato da un'idea di Mario Pergolini e Diego Guebel, per "Canal 13" della televisione argentina nel '98. Per un confronto tra alcuni aspetti de Le Iene e Da Alì G Show, si veda Pierpaolo Panico, La satira televisiva verso un mondo globalizzato. Confronto tra "Le Iene" e "Da Alì G Show", in "Sintesi", n. 5, 2004, pagg. 176-182.
[10] Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione. Tecniche, teorie, formati, Laterza, Roma-Bari 2006, pag.156.
[11] Taggi, op. cit., pag. 127.
[12] Esemplare è la candid sul vigile con la mano ingessata che chiedeva ai contravventori di compilarsi la multa da soli, (Il vigile, andata in onda 28 settembre 2007). La voce fuori campo di Andrea Pelizzari descrive minuziosamente i comportamenti delle vittime sottolineando gli stati d'animo e come rispondono ad essi. L'ulteriore commento della Gialappa's band se, da un lato, potrebbe ricordare gli scimmiottamenti tipici dei conduttori di Candid camera show, quali Gerry Scotti o Ciccio Valenti, dall'altro, rappresenta piuttosto la coscienza popolare. Il giudizio, carico di cinismo e cattiveria, che una "persona qualunque" potrebbe avere. Non fanno mai il verso alle vittime, non doppiano mai le candid, le commentano con ironia e, per l'appunto, cattiveria.
[13] Si veda ad esempio la candid di Gip sul Vigile burlone, andata in onda il 5 ottobre 2007
[14] Mandato in onda nella puntata del 12 ottobre 2007
[15] 1984, scritto da George Orwell nel 1948, fu pubblicato nel 1949.
[16] Mixer è andato in onda per la prima volta il 21 aprile1980 sulla "Rete2", scritto da Aldo Bruno, Giovanni Minoli, Giorgio Montefoschi.
[17] Il Panopticon, il cui nome significa letteralmente "che fa vedere tutto", fu progettato da Jeremy Bentham nel 1791.
[18] In proposito si veda,Tullio De Mauro, Lingua parlata e TV, in AA.VV., Televisione e vita italiana, ERI, Torino, 1968, pagg. 245-94. Utili punti di riferimento inoltre in Tullio De Mauro, Il linguaggio televisivo e la sua influenza, in AA.VV., I linguaggi settoriali in Italia, Bompiani, Milano 1973, pagg. 107-117. Dello stesso A., Mass media, televisione e lingua parlata negli anni Sessanta, in Idem, Storia linguistica dell'Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1974, pagg. 430-458.
[19] Paolo Taggi, Vite da format. La tv nell'era del Grande Fratello, Editori Riuniti, Roma 2000, pag. 22.
[20] Ibidem.
[21] Bernd Guggenberger, Essere o essere in: il disagio della civiltà postmoderna, De Donato, Bari 1988.
[22] Taggi, Vite da format, pag. 180.
[23] Fahrenheit 9/11 ha incassato nel nostro paese € 8.892.000 (rilevazione: domenica 7 novembre 2004), negli USA $ 119.078.000 (rilevazione: domenica 3 ottobre 2004); La marcia dei pinguini nel nostro paese € 3.422.000 (rilevazione: domenica 29 ottobre 2006), negli USA $ 77.413.000 (rilevazione: domenica 27 novembre 2005)
[24]The Blair Witch Project scritto e diretto da Daniel Myrick e Eduardo Sánchez ha incassato negli USA $ 140.530.000 (rilevazione: domenica 17 ottobre 1999).
[25] Cfr. Alberto Abruzzese, Lo splendore della TV. Origini e destino del linguaggio audiovisivo, Costa & Nolan, Genova 2000.
[26] Cfr. Marshall Mcluhan, Understanding Media, 1964, trad. it. di Ettore Capriolo, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1995.
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